giovedì 21 novembre 2013

Ehi, tu, dici a me???



Accadeva qualche lunedì fa.
Durante la notte aveva piovuto copiosamente e la mattina, per non essere da meno, si era aperta nuvolosa e caratterizzata da un vento forte e freddo.
Io, pentita degli stravizi del weekend, nonostante le condizioni meteorologiche avverse, avevo avuto la geniale idea di riprendere il moto forzato con una lunga camminata, 2 km all’andata e 2 al ritorno, su una strada un po’ isolata.
Il vento mi scombinava i capelli mentre camminavo di buona lena, abbassandomi di tanto in tanto la maglia che, com’è noto ai portatori sani di panza, ha l’antipatica abitudine di sollevarsi scoprendo i lardominali.
All’improvviso…
…passa un’auto. Mi sorpassa, rallenta e poi riparte.
Fa il giro dell’isolato e me la trovo di nuovo di fronte.
Mi sorpassa, rallenta e poi riparte.
Io continuavo a camminare velocemente coi capelli svolazzanti stile medusa.
Occhi bassi per cercare di non scivolare su qualche foglia bagnata, la maglietta che tirava sulle tette che riabbassavo di tanto in tanto per ricoprire la pancia manco fosse un mantello dell’invisibilità.
Ritorna l’auto. Rallenta. Mi da un colpo di clacson, poi riparte.
In un primo momento mi è sorto il dubbio che mi avesse scambiato per qualcun’altra, poi ho cominciato a guardarmi bene: avevo forse la zip aperta?
No, niente.
Mi sembravo normale: portavo una maglia che, a parte sollevarsi sulla pancia, copriva il copribile. Indossavo dei jeans scuri e delle scarpe da ginnastica, cosa c’era che non andava?
Una vocina dentro di me cominciò a suggerirmi: “sei grassa…sicuramente c’entra il grasso”
“E quindi? Sto camminando sul marciapiede, mica gli sto occupando la strada!”
“Sei grassa e questo basta…il grasso c’entra sempre!”
“Vattene via, ci manchi solo tu a rompere le balle!”

Se non si fosse capito, non vado molto d’accordo con una delle mie numerose personalità.

L’auto ritorna, rallenta.
Stavolta mi fermo anche io.
L’uomo alla guida mi guarda.
Io lo guardo.
Apre il finestrino.
Si affaccia.
“Andiamo a prenderci un caffè?”
“…”
“Andiamo nella strada qui dietro, non c’è nessuno”
“…”
“Hai belle tette, la vuoi una ricarica?”

Indovinate la mia reazione:
  1. gli indico in maniera stizzita il paese a cui sarebbe più opportuno dirigersi, alterandomi alquanto
  2. faccio la ritrosa e proseguo dritto, compiacendomi però di aver ringalluzzito qualcuno
  3. lo fisso come un’ebete e rispondo un educato “no grazie” pensando dentro di me “ma non lo vedi che sono grassa???”
Per i vincitori c’è in palio un bel niente!

 

venerdì 8 novembre 2013

Qualsiasi cosa abbiate, se va in loop, diventa un problema.



L’ossessione per il cibo è tornata.
Come cantava Venditti: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”.
E infatti…
Da gennaio 2013 ho perso 18 kg e, fino a qualche mese fa, mi sentivo libera (o quasi) dal richiamo del cibo a tutte le ore– in tutti i modi - in tutti i luoghi -in tutti i laghi.
Ad Agosto ho iniziato il mantenimento del peso. Ho ancora un numero imprecisato (Avogadro mi capirà) di chili da smaltire ma, a differenza di quanto fatto in passato, invece di puntare ad un risultato irraggiungibile per la mia volontà di pastafrolla, ho deciso di fare un percorso a tappe in modo da stabilizzare il peso a gradi invece che, come già successo, perdere 30 kg e recuperarli in un soffio per un delirio di onnipotenza che non mi rendeva immune dalle calorie che ingurgitavo per la felicità (questa è l’intelligenza, signori).
Da quando ho iniziato il mantenimento, il peso si è tenuto più o meno stabile. E di questo sono più che contenta. Se riuscissi a superare indenne il Natale, mi sentirei miracolata nell’attesa di ricominciare la dieta. A Gennaio ovviamente, come il migliore dei cliché!
Quel che mi turba però è come l’ossessione del cibo sia tornata a bussare alla mia porta.
Mi tappo le orecchie (e la bocca), faccio finta di non vederla utilizzando spesse fette di prosciutto sugli occhi ma lei sta lì: decisa e ineluttabile come una tassa sulla proprietà.
Tutto è cominciato quando, dopo mesi in cui effettivamente non ne sentivo il bisogno, ho cominciato a concedermi un pasto libero. Giusto per sentire il gusto della normalità.
Questo pasto libero è diventato un tarlo.
Un picchio insistente come un operatore di call center che rompe meticolosamente la mia corteccia interiore.
Mentre prima, sapendo di non dover sgarrare riuscivo a non pensarci, adesso tutte le voglie si concentrano in quel pasto infido, manco fosse l’ultima cena. Quindi mi trovo a far passare i giorni pensando a quello che vorrei mangiare nel mio ultimo pasto da carcerato nel braccio della morte e, quindi, tutti i giorni la mia mente pensa al cibo: a quello che vorrei, a quello che già so che mi piace, a quello che non ho ancora provato, a quello che vorrei sperimentare io in cucina oppure vorrei ordinare al ristorante.
Cibo cibo cibo cibo.
Riuscirà la nostra eroina a spuntarla con la normalità?